Come in un sogno, mi aggrappavo a quei pochi elementi che avevo a mia disposizione per poter trovare la via del ritorno verso quel passato che pareva quasi perduto. Ricordi, voci, sensazioni vissute sulla pelle altrui. Sguardi, passi lenti sull’acciottolato. Ad un tratto, musica. Una fisarmonica e una bella voce.
Seguo il suono che mi guida tra le case dai muri di mattoni di fango e paglia di un paese che forse ormai non c’è più o forse si, vivo nei miei ricordi di sogno. Giro l’angolo e scorgo due figure. Due uomini seduti al centro di una piazza. Una piccola folla li osserva.
Non mi avvicino più di tanto. Temo mi riconoscano. Ho paura che si accorgano che non sono ancora una di loro, piccola radice venuta da lontano, venuta dal futuro. Ascolto delle nenie antiche, delle musiche che ormai sento solo nelle feste paesane. Delle repentine improvvisate. Uno dei due uomini ha la fisarmonica e suona, con lo sguardo perso nel vuoto, assente, guidato solo dalla musica dell’istinto. L’altro è in piedi e canta. A quanto sembra, sono una coppia ben nota.
Qualcuno li chiama per nome - lo stesso per entrambi - li incita a continuare. Applausi, risa. Vorrei potermi avvicinare, sedermi e parlare con loro. Ad un certo punto, tutto finisce. I due uomini, presi a braccetto da due donne, si incamminano e sgombrano il campo.
Rimango sola mentre la folla si dirada. Una donna con lo scialle nero e il fazzoletto in testa passa di fianco a me. Mi sussurra, senza guardarmi in volto, rallentando impercettibilmente il passo “ragazza che vieni da lontano, sei venuta anche tu, qui, per imparare a suonare la fisarmonica?come fanno in molti?” Non rispondo. Lei continua “o sei venuta solo per spiarci?” non rispondo per l’ennesima volta. Lei, solo allora, alza lo sguardo su di me.
Un paio d’occhi di ghiaccio mi fanno sussultare l’anima. Sorride, lei, ben consapevole dell’effetto che mi provoca. Allora inizia a raccontare di quella coppia di musicista e cantore, Eugenio Tuveri e Eugenio Sebis, entrambi con lo stesso nome e lo stesso strambo destino, con la musica dentro, unica luce per il loro vedere nel mondo. La donna mi racconta che vanno di festa in festa, accompagnati dalle loro famiglie, e la gente in zona li ammira e li rispetta. Solo allora ho il coraggio di parlare. Una frase, timida, mi esce dalla bocca: “sono venuta per ricordare. Sono venuta per non dimenticare. Sono venuta perché, da dove vengo io, tutte queste cose non ci sono più.”
Raìz
Eugenio Sebis
Eugenio Tuveri
Si ringraziano le famiglie Pinna e Spano per le foto gentilmente offerte.