Un “Isola” tutta da leggere…
Cari amici, riprendiamo la rubrica letteraria “Un Isola tutta da leggere”, un originale esperimento di mescolare l’amore per la lettura e l’amore per la Sardegna e le sue culture. Un invito a conoscere gli scrittori sardi che magari non abbiamo mai letto o, possiamo pure confessarlo, mai sentito nominare. Riguardo agli altri, invece, quelli più noti e apprezzati, potremo divertirci ad indovinare il nome dell’autore o il titolo dello scritto.
Il precedente post era stato dedicato ad un grande della nostra letteratura, il poeta, scrittore e grande intellettuale di Nugheddu San Nicolò: Ciccito Masala.
Oggi invece parleremo di uno scrittore sardo di talento e sicuramente originale, che contrariamente a Ciccito Masala è nato e cresciuto nel sud della Sardegna.
Provate ad indovinare di chi stiamo parlando:
…se esiste una parola per dire i sentimenti dei Sardi nei millenni di isolamento tra nuraghe e bronzetti forse è felicità. Passavamo sulla terra leggeri come acqua, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia tra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenti verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta…
L’opera in questione è una carrellata storica, in forma romanzesca delle più importanti vicende isolane, dalla preistoria fino all’arrivo degli aragonesi. Il tutto raccontato, con procedimenti letterari tipici della narrativa orale, da un vecchio allevatore di cavalli, Antonio Setzu, a un ragazzino desideroso di conoscere le cose del passato.
Si parte dalle più remote profondità del tempo. Dai giorni in cui un misterioso popolo, esule dalla sua patria, approdò nell'isola che per sempre lo avrebbe ospitato.
…ventuno sopravvivemmo, e dovemmo imparare a coltivare i frutti e le erbe, a catturare e mungere le pecore e le capre. Coi giunchi lunghi, neri, resistenti, che trovammo nelle paludi a meridione dell’approdo, facemmo le nostre case…
…non dimenticammo i numeri. Confondemmo le distanze, forse. La conoscenza si fermò. Smettemmo d'essere sacerdoti. E da quei ventuno la popolazione crebbe sin quando non furono ventuno i villaggi, e per “ogni gente le altre venti erano estranee o nemiche…eravamo gente alta e stando nell'isola siamo diventati piccoli perché tutto trapiantato nelle isole di questo mare diventa più piccolo, più scuro, più gustoso? O gente piccola già in origine? Piccoli di statura, scuri di pelle, abituati a pensare, ragionare, contare, mai concordi fra noi. Così siamo tuttora, fatti salvi gli imbecilli che non mancano e nessuna legge potrà mai limitare….
Inizia così un’ epopea che si snoda tra fasi alterne in un lungo arco temporale, con la presenza di invasori che non riuscirono del tutto a piegare la resistenza del nostro popolo saldamente legato alla terra, in sintonia con un bellissimo ambiente naturale dal quale ricavava tutto ciò che occorre per vivere.
…dobbiamo la sopravvivenza in libertà a tutti i barbari che trovi nei libri di storia: goti, burgundi, celti, germani, unni, vandali e tutti i popoli che attaccarono l'impero prima mettendolo in ginocchio poi atterrandolo e infine distruggendolo, dando fine alla nostra guerra millenaria. Facemmo la nostra parte non cedendo il cuore dell'isola….
Tutto finisce con l'avvento degli Aragonesi, quando Karale diventa Caglié, e quando scompare la civiltà fondata sui giudici; da quel momento in avanti, l'indipendenza sarda si colora di un'autonomia che suona come servitù, o si tinge di sconfitta. L'orgoglio e la storia non mutano, e la speranza di restituire linfa e senso alla perduta leggenda del popolo dei danzatori delle stelle non conosce termine.
Stiamo parlando dell’ultimo romanzo di Sergio Atzeni, concluso nell'agosto del 1995, una manciata di giorni prima della morte dell'artista nel mare dell'isola di San Pietro.
“Passavamo sulla terra leggeri” è un congedo doloroso, e toccante: un lascito testamentario di uno scrittore intenso, lirico e massimalista, dedicato e rivolto a tutti gli intellettuali e i letterati isolani, e ai letterati patrioti di tutte le nazioni.
Nato a Capoterra nel 1952, aveva vissuto a Orgosolo e a Cagliari dove si era formato umanamente e culturalmente. Nel 1986 decise di lasciare l’isola andando a vivere, cambiando più volte lavoro, all’estero e nella penisola, fino al trasferimento a Torino dove si era stabilito ormai da alcuni anni. All’ Apologo del giudice bandito (1986) sono seguiti gli altri romanzi: Il figlio di Bakunìn (1991), anch’esso edito da Sellerio, e Il quinto passo è l’addio (1995), per Mondadori.
Una settimana prima di morire aveva consegnato a Mondadori il manoscritto del suo quarto romanzo uscito postumo Passavamo sulla terra leggeri (1996). Postumi usciranno anche i racconti sotto i titoli: Sì…otto (Condaghes 1996), Bellas Mariposas (Sellerio 1996) (comprendente Il demonio è cane bianco - il suo primo racconto pubblicato la prima volta a Cagliari nel 1984 con Le Volpi Editrice, e il titolo Araj dimoniu, antica leggenda sarda – e Bellas Mariposas, l’ultimo, finito di scrivere nell’estate del 1995), Racconti con colonna sonora e altri in “giallo” (Il Maestrale 2002), Gli anni della grande peste (Sellerio 2003); la raccolta poetica Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo (Il Maestrale 1997); una raccolta di fiabe con Rossana Copez Fiabe sarde (Condaghes 2002); dei documenti-racconti col titolo Del raccontar fole (Sellerio 1999).
Buona lettura e a risentirci tra un mesetto con un altro grande scrittore sardo.
Miss Fantasy